Cari Amici anche quest’anno la legge finanziaria consente di destinare la quota del 5 per mille della tua imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), relative all’anno 2015, alle organizzazioni non-profit per sostenere le loro attività.Con questo meccanismo puoi vincolare una quota delle tue imposte al sostegno di Enti come il nostro che svolgono attività socialmente rilevanti.
Il 5 per mille non è un’imposta aggiuntiva ma viene decurtato da quanto destinato allo Stato... per devolverlo ad attività e progetti specifici (se non firmi, il 5x1000 non rimane comunque a te ma viene prelevato dallo Stato).
Apponendo la tua firma nel riquadro prescelto ed inserendo nei modelli per la dichiarazione dei redditi - CUD, 730 o Unico - il nostro codice fiscale 97202420820, comunicherai all’erario l’intenzione di devolvere il tuo contributo all'Associazione Fidelis Onlus
In base alla nuova formulazione del cinque per mille, questi sono i destinatari:
> Le organizzazioni non lucrative di utilità sociale
> Le associazioni di promozione sociale
> Le associazioni riconosciute che operano nei settori di cui l'articolo 10, c. 1, lett a), del D.Lgs n.460 del 1997;
> Gli enti di ricerca scientifica e universitaria;
> Gli enti di ricerca sanitaria;
> I comuni di residenza (sostegno alle attività sociali);
> Le associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge;
COME FARE:
È davvero semplice:
compila il modulo 730, il CUD oppure il Modello Unico; firma nel riquadro "Sostegno delle associazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni riconosciute....."
indica il codice fiscale dell’Associazione Fidelis Onlus:
97202420820
Può destinare il 5x1000 anche chi non compila la dichiarazione dei redditi, ovvero la persone che hanno solo il modello CUD fornitogli dal datore di lavoro o dall'ente erogatore della pensione.
È sufficiente compilare la scheda e presentarla, in busta chiusa:
> allo sportello di un ufficio postale o a uno sportello bancario che provvederà a trasmetterle all'Amministrazione finanziaria (il servizio è gratuito)oppure> a un intermediario abilitato alla trasmissione telematica (commercialista, CAF, etc.) Quest'ultimo deve rilasciare, anche se non richiesta, una ricevuta, attestante l'impegno a trasmettere le scelte.
Sulla busta occorre scrivere: “scelta per la destinazione del cinque per mille dell'Irpef", e indicare cognome, nome e codice fiscale del contribuente”
RICORDA: Il 5 per mille non sostituisce l'8 per mille e non costa nulla al contribuente, ma è un modo per poter scegliere quali realtà sostenere con le imposte che paghi. Si tratta di imposte che sarebbero comunque dovute andare allo Stato. Scegliendo di destinare il 5 per mille si sceglie che cosa finanziare con una parte delle proprie tasse
...alle donne che oggi non andranno certo a festeggiare, a quelle donne cui il silenzio sembra essere diventato quasi un percorso di vita, a quelle donne cui le catene troppo pensanti dell'indifferenza le privano di una scelta che potrebbe cambiare loro la vita, a quelle donne a cui dobbiamo la vita ma spesso doniamo la morte va il mio pensiero...non solo ieri, non solo oggi, ma sempre...
Associazione Fidelis Onlus
Presidente
Tortorici Gaetano
domenica 6 marzo 2016
"...spogliandola da ogni concetto di mercificazione del corpo..."
lunedì 29 febbraio 2016
8 MARZO
UN CAPITOLO (QUASI) TUTTO DA RISCRIVERE E COMPRENDERE...
Per la ricorrenza dell’8
Marzo, Giornata Internazionale della donna, l’Associazione Fidelis Onlus il
Comune di Borgetto e l’Istituto comprensivo Borgetto-Partinico hanno
organizzato una giornata di riflessione sulla tematica della violenza di genere
e le pari opportunità.
Da sempre polo principale
nella salvaguardia dei diritti delle donne, nel distretto socio-sanitario 41,
il Centro antiviolenza A.D.I.D. se da un lato sottolinea l’importanza
strategica dei centri antiviolenza nei territori dall’altra evidenzia nella relazione
con le Istituzioni locali, Enti pubblici, scuole, forze dell’Ordine, un’importante
tassello all’interno di un mosaico fatto di
prevenzione-informazione-assistenza.
Ecco perché la giornata
dell’8 Marzo, riveste per noi, spogliandola da ogni concetto di mercificazione
del corpo e privandola del suo, ormai troppo spesso, sapore propagandistico, una
cornice di messaggi carichi di significati proiettando il nostro impegno verso
la società civile e le nuove generazioni.
In questo durissimo lavoro,
è bene sottolinearlo, quanto sia determinante la scuola che per dirla con la
Preside Rosalia Gioglio dell’Istituto Comprensivo Borgetto-Partinico: “ ….è il
nostro passaporto per il futuro, poiché il domani appartiene a coloro che oggi
si preparano ad affrontarlo”. Ed è in questa simbiosi fatta di rete e
collaborazione che bisogna investire sul futuro, dunque. “A partire dalle
scuole e famiglie, sui i programmi scolastici, introducendo ore di educazione
alla parità di genere. Perché se la violenza è un segno e come tale va
analizzato nelle sue complesse implicazioni sociali, economiche e politiche,
non bisogna trascurare l’aspetto educativo.”
In questa giornata sarà proiettato il
cortometraggio su Franca Viola, sponsorizzato dal Centro commerciale La
Fontana, “Atru nca nenti cci fu…”. “Appena
diciassettenne, Franca Viola, dopo avere rifiutato le avances di un innamorato,
viene rapita mentre si trova nella sua casa di Alcamo. Filippo Melodia,
rampollo della famiglia mafiosa dei Rimi, la tiene segregata e la violenta per
una settimana intera. L’epilogo sarebbe stato il matrimonio riparatore,
previsto dalla legge italiana come ‘ristoro’ in caso di violenza sessuale. Il padre di Franca invece finge di
accettare un accordo per liberare la figlia, avvisa i carabinieri e fa
arrestare Melodia. Franca Viola non volle in alcun modo acconsentire alle nozze
previste, creando un precedente seguito da molte donne. E’ così che diventa un’icona del movimento femminista italiano.”
In qualità di Presidente dell’Associazione
Fidelis Onlus voglio ringraziare tutti colori che si sono impegnati per rendere
questa giornata un momento importante di condivisione e consapevolezza.
Ringrazio per il supporto e l’apporto alla giornata il Sindaco del Comune di
Borgetto Gioacchino De Luca, il Presidente del Consiglio Dott.ssa Elisabetta
Liparoto, e L’assessore alle Pari opportunità Dott.ssa Claudia Antonela
Machonici. Infine, ma non per ultimi, la Preside Dottssa Rosalia Gioglio dell’Istituto
comprensivo Borgetto-Partinico che ha sposato con professionalità e entusiasmo tutti
i lavori progettuali, gli studenti per i loro elaborati, e gli insegnanti che
li hanno coadiuvati.
Vi
aspettiamo a Borgetto alle ore 16:00 presso l’edificio dell’Istituto
comprensivo Borgetto-Partinico, Salamone Marino.
Tortorici
Gaetano
Presidente
Associazione Fidelis Onlus
SPONSOR CORTOMETRAGGIO
giovedì 25 febbraio 2016
Picchiata dal fidanzato
e ridotta in fin di vita, parla il papà: "Noi abbandonati"
Parla il padre della ragazza che due anni fa è stata
massacrata di botte dal fidanzato e ridotta in stato vegetativo. "A breve
sarà dimessa dal Santa Lucia. Qui ha fatto progressi con le cure riabilitative
che ora saranno a carico della famiglia"
ROMA - "In tredici mesi
Chiara è migliorata tanto. Nella gravità del suo danno cerebrale è passata da
uno stato di minima coscienza a uno di minima interazione. Ora però quel
percorso, durato anche oltre il dovuto, si interromperà, nonostante le tante
promesse ricevute".
E' amareggiato Maurizio Insidioso
Monda, il papà di Chiara, la giovane picchiata e ridotta in fin di vita dal suo
fidanzato. Da tre anni è al fianco di sua figlia, per curarla e per ottenere
giustizia nei confronti di chi, Maurizio Falcioni, l'ha ridotta così.
Nonostante le tante parole spese
dalle istituzioni nessuno si è fatto avanti per aiutarlo, per garantire un
supporto per le terapie necessarie a far andare avanti questi miglioramenti.
"Tra qualche giorno andremo in una struttura a Cinecittà", spiega il
papà di Chiara. "Un'eccellenza, un ottimo centro, ma le cure riabilitative
garantite qui dovremo pagarcele da soli". Chiara, racconta a RomaToday
Maurizio, costa 4.000 euro al mese. Al Santa Lucia ha svolto terapie
riabilitative di diverso tipo, dalle cure logopediche a quella per la
motricità. Cure che fuori dal centro dell'Ardeatina saranno ridotte e a carico
della famiglia.
C'è grande dignità nelle parole
di Maurizio Insidioso. "Io non ho mai chiesto nulla a nessuno. Sono state
sempre le istituzioni a cercarmi, a parlare con me, a volermi aiutare. Tutto a
parole però, perché poi di fatti se ne sono visti pochi". E' di poche
settimane fa addirittura un invito alla Camera per presentare un disegno di
legge contro la violenza sulle donne. "Da allora non ho sentito più
nessuno. Io non chiedo una casa, non chiedo soldi. Dico solo che se Chiara
doveva essere un caso particolare, grazie al quale lanciare anche dei messaggi
di speranze, beh possiamo dire che questo messaggio non partirà".
Anche per questo ieri Maurizio ha
deciso di non incontrare le istituzioni, dal presidente della Repubblica al
ministro della Salute Lorenzin, in visita al Santa Lucia. "Se vogliono
saliranno loro da Chiara. Io ormai ho poco da dir loro". E con amarezza e
rassegnazione chiude: "Chiara la porterei lontano dall'Italia anche oggi.
Questo Paese non le dà nessuna speranza ormai".
Abusi
sessuali, in tribunale le vittime non trovano né giustizia né solidarietà
"Signora non sarà mica di primo pelo lei"
Signora non sarà mica di primo pelo lei? Queste sono le parole che un
giudice ha rivolto a una donna, vittima di stupro, colta da un attacco di
panico mentre testimoniava. Eppoi ci sono quei magistrati che giudicano
“seduttivi” i comportamenti di bambine, anche di 4 anni, vittime di stupro.
Nel luogo che dovrebbe restituire
dignità alle vittime di violenza spesso si consuma il tradimento della
fiducia nella giustizia. Vergognose sentenze girano le spalle alla
ragione e alla legge, lasciando impunito chi si macchia di stupri, perchè
sono fondate su stereotipi e pregiudizi che appannano la libertà di
giudizio di magistrati non adeguatamente formati e, loro malgrado,
portatori sani di sessismo.
Il 15 febbraio scorso a Firenze, durante il
convegno La legge contro la violenza sessuale vent’anni dopo
organizzato da D.i.Re donne in rete contro la violenza, in
collaborazione con Artemisia e il Cismai, si è fatto il punto della
situazione attuale nei tribunali italiani e non c’è da essere molto
ottimisti. Avvocate, magistrate, psicologhe, ginecologhe, operatrici dei
Centri Antiviolenza, docenti universitarie, assistenti sociali si sono
incontrate per riflettere sul rispetto dei diritti delle donne, delle bambine e
dei bambini all’interno dei percorsi giudiziari e per domandarsi perché
si è tornati indietro.
Nel 1979 la Rai trasmise Processo
per stupro, documentario seguito da 9 milioni di spettatori che
assistettero alla colpevolizzazione della vittima (difesa dall’avvocata Tina
Lagostena Bassi). Oggi quel filmato è conservato al MoMA di New York
ed appartiene ad un passato che, in un eterno ritorno, abita ancora
i tribunali e le sentenze. Trascorsero quasi vent’anni dalla trasmissione di
quel filmato perché nel 1996, finalmente, la legge fortemente voluta dal movimento
delle donne (la n. 66), sancisse che lo stupro non fosse più un reato
contro la morale ma un reato contro la persona. Ci si illuse che
finalmente si potesse porre fine al processo alle vittime. Non è andata così.
L’apertura del convegno è stata dedicata ai bambini e
alle bambine con la presentazione di alcuni dati: su 100mila bambini
seguiti dai servizi sociali con problemi di maltrattamento, il 4% ha subito
abusi sessuali. Il fatto che l’analogo dato internazionale si aggiri
intorno al 7% fa pensare che il fenomeno sia ancora in gran parte
sommerso. Per i minori la legge 66 rappresentò una riforma importantissima
nelle aule di tribunale, perché, al diritto di tutela nell’ascolto della
testimonianza, si aggiunse il diritto all’accompagnamento psicologico. A
questa legge seguì la Convenzione di Lanzarote, un altro strumento di difesa
dei minorenni dall’abuso e dallo sfruttamento sessuale. Eppure, ancora oggi, il
trauma del bambino e il suo essere testimone della violenza viene messo
continuamente in discussione e Gloria Soavi, presidente del Cismai, ha
detto che, a volte, viene considerata un’attenuante la presenza della
bambina in rete con profili che sono giudicati seduttivi dagli inquirenti e dai
giudici.
Se ci sono pregiudizi sulla violenza sui minori con le
donne non va meglio. Le vittime finiscono per essere colpevolizzate perché
indagate con lo sguardo della cultura moralista e misogina del sospetto “perché
lei ci stava”, “perché lei era uscita la sera”, “perché lei era ubriaca”,
“perché era disinibita”. La situazione è problematica anche
per il maltrattamento familiare. Fabio Roia, magistrato, ha
affermato che ancora oggi nei tribunali non si conoscono le
dinamiche e le caratteristiche della violenza domestica ed è emerso un dato
inquietante da una ricerca condotta dalla Seconda Università degli Studi
di Napoli: il 70% delle donne uccise da uomini, aveva sporto denuncia.
E allora cosa non funziona nel sistema?
La giudice Paola Di Nicola ha detto che le donne
non sono credute e sono vittime di pregiudizi di genere mentre Fabio
Roia ha stigmatizzato la cultura sessista che ancora impera tra i
magistrati: “La forza dello stereotipo è una profezia che si autoavvera. La
narrazione fondata sul pregiudizio è quella ritenuta più attendibile perché il pregiudizio
è diffuso. In molti casi la vittima è anche unico testimone di quanto
avvenuto e dunque è molto importante il modo in cui viene raccolta questa
testimonianza, e anche che la sua testimonianza sia tienuta affidabile. Invece
spesso viene richiesto che la vittima si discolpi da attteggiamenti considerati
troppo disinvolti, o da una vita libera, prima di essere creduta. Questo è un
paradosso perché mentre la vittima testimonia sotto giuramento, l’imputato non giura
e ha diritto di costruirsi una strategia difensiva volta a screditare la
vittima”.
L’approccio alla testimonianza della parte lesa
continua ad essere la ripetizione di un racconto dettagliatissimo fin nei
minimi particolari delle violenze subite, esponendo le vittime ad una sorta di
prova ordalica (può accadere anche a bambine o bambini) e a ciò si aggiunge
l’esperienza terribile di sentire stravolgere nel processo la narrazione di ciò
che in prima persona si è vissuto. Eppure ci sono gli strumenti per modificare
il modo di condurre le indagini e di valutare la testimonianza delle vittime.
Le ricerche scientifiche, per esempio, hanno da tempo scoperto che il trauma
impedisce la capacità di memorizzare in maniera lineare gli eventi, e quei
“punti oscuri” che vengono usati contro la credibilità delle donne dovrebbero
essere letti, invece, come un indizio che il trauma c’è stato.
Spesso la libertà di giudizio dei magistrati è anche
limitata da illazioni o cattive interpretazioni di fatti scollegati dal reato o
da aspettative irrealistiche sui comportamenti che dovrebbe avere una vittima
dopo la violenza: come il caso della donna che non venne creduta perché il
giorno seguente lo stupro aveva avuto un rapporto sessuale col proprio
compagno. La lancetta del tempo ci ha riportato indietro anche nella società.
Molte donne non sanno riconoscere la violenza anche se avvertono disagio e
sofferenza e molti uomini, soprattutto giovani, non sanno nemmeno che ciò che
hanno commesso sia un reato e sono stupiti di dover affrontare un processo.
Se i comportamenti sessuali delle donne sono cambiati rispetto a
trent’anni fa, non è cambiato il modo di guardare alla sessualità femminile e
ai corpi delle donne percepite non come soggetti desideranti che hanno diritto
di scegliere come vivere la loro sessualità ma come oggetti che si rendono
disponibili e che quindi devono accettare lo stupro come conseguenza dei
loro comportamenti.
Quando le porte del tribunale si chiudono davanti alla
richiesta di giustizia delle donne restano fuori le loro parole: “Non mi
riconosco più, non sarò più la stessa persona che ero, non mi fido nemmeno di
chi amo, a volte ho paura anche di loro. In certi momenti non riesco a
sentirmi, a provare un sentimento, mi sento sola come in un deserto piatto senza
fine. Mi è stato tolto qualcosa che non potrò più riavere, chi me l’ha tolto
nega di averlo fatto, o forse nemmeno lo sa. Ho paura che nessuno mi creda, mi
sento sporca indegna nessuno potrà più amarmi, a volte io stessa non riesco a
credere a quanto è successo, penso di impazzire”.
Chi subisce violenza, ha spiegato Teresa
Bruno, psicologa dell’associazione Artemisia, “si percepisce privo di senso
e di valore e, spesso, se ne assume la colpa. E’ un attacco maligno al
senso d’identità e ai legami che permettono un pensiero coerente su se stessi e
il mondo. L’impunità dei persecutori è garantita dalla vergogna e dal silenzio
delle vittime e dal volgere lo sguardo altrove dei testimoni. Studi e ricerche
individuano il sostegno sociale come primo fattore di guarigione dal
trauma, sia esso collettivo o individuale”.
La comprensione e la solidarietà degli esterni,
l’ascolto non giudicante, la capacità di non voltarsi dall’altra parte
relegando nella solitudine, nel silenzio e nell’impotenza le vittime e i testimoni
coinvolti, sono le prime medicine.
Questo è ciò che dovrebbero trovare le vittime di
violenza nei tribunali.
Di: Nadia Somma - Attivista presso il Centro antiviolenza Demetra
lunedì 15 febbraio 2016
FRANCA VIOLA
"Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di
fare, come farebbe oggi una qualsiasi ragazza: ho ascoltato il mio cuore, il
resto è venuto da sé. Oggi consiglio ai giovani di seguire i loro sentimenti;
non è difficile. Io l'ho fatto in una Sicilia molto diversa; loro possono farlo
guardando semplicemente nei loro cuori"
ORIGINI
Francesca Viola, detta Franca,
era figlia di una coppia di coltivatori diretti e, all'età di quindici anni,
con il consenso dei genitori si fidanzò con Filippo Melodia, nipote del mafioso
Vincenzo Rimi e membro di una famiglia benestante. Tuttavia in quel periodo
Melodia venne arrestato per furto ed appartenenza ad una banda mafiosa e ciò
indusse il padre di Franca, Bernardo Viola, a rompere il fidanzamento; per queste
ragioni, la famiglia Viola fu soggetta ad una serie di violente minacce ed
intimidazioni: il loro vigneto venne distrutto, il casolare annesso bruciato e
Bernardo Viola addirittura minacciato con una pistola al grido di "chista
è chidda che scaccerà la testa a vossia", ma tutto ciò non cambiò la sua
decisione.
LA VICENDA DEL MATRIMONIO
Infine il 26 dicembre 1965,
all'età di 17 anni, Franca Viola fu rapita (assieme al fratellino Mariano di 8
anni, subito rilasciato) da Melodia, che agì con l'aiuto di dodici amici, con i
quali devastò l'abitazione della giovane ed aggredì la madre che tentava di
difendere la figlia. La ragazza fu violentata e quindi segregata per otto
giorni in un casolare al di fuori del paese e poi in casa della sorella di
Melodia ad Alcamo stessa; il giorno di Capodanno, il padre della ragazza fu
contattato dai parenti di Melodia per la cosiddetta "paciata", ovvero
per un incontro volto a mettere le famiglie davanti al fatto compiuto e far
accettare ai genitori di Franca le nozze dei due giovani. Il padre e la madre
di Franca, d'accordo con la polizia, finsero di accettare le nozze riparatrici
e addirittura il fatto che Franca dovesse rimanere presso l'abitazione di
Filippo, ma il giorno successivo, 2 gennaio 1966 la polizia intervenne all'alba
facendo irruzione nell'abitazione, liberando Franca ed arrestando Melodia ed i suoi
complici.
Secondo la morale del tempo, una
ragazza uscita da una simile vicenda, ossia non più vergine, avrebbe dovuto
necessariamente sposare il suo rapitore, salvando l'onore suo e quello
familiare. In caso contrario sarebbe rimasta zitella, additata come "donna
svergognata". All'epoca, la legislazione italiana, in particolare
l'articolo 544 del codice penale, recitava: "Per i delitti preveduti dal
capo primo e dall'articolo 530, il matrimonio, che l'autore del reato contragga
con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono
concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione
e gli effetti penali", in altre parole ammetteva la possibilità di
estinguere il reato di violenza carnale, anche ai danni di minorenne, qualora
fosse stato seguito dal cosiddetto "matrimonio riparatore", contratto
tra l'accusato e la persona offesa; la violenza sessuale era considerato
oltraggio alla morale e non reato contro la persona.
Il caso sollevò in Italia forti
polemiche divenendo oggetto di numerose interpellanze parlamentari. Durante il
processo che seguì, la difesa tentò invano di screditare la ragazza, sostenendo
che fosse consenziente alla fuga d'amore, la cosiddetta "fuitina", un
gesto che avrebbe avuto lo scopo di ottenere il consenso al matrimonio, mettere
la propria famiglia di fronte al fatto compiuto e che il successivo rifiuto di
Franca di sposare il rapitore sarebbe stato frutto del disaccordo della
famiglia per la scelta del marito. Filippo Melodia fu condannato a 11 anni di
carcere, ridotti a 10 con l'aggiunta di 2 anni di soggiorno obbligato nei
pressi di Modena. Pesanti condanne furono inflitte anche ai suoi complici dal
tribunale di Trapani, presieduto dal giudice Giovanni Albeggiani.
Eventi successivi
La norma invocata a propria
discolpa dall'aggressore, l'articolo 544 del codice penale, sarà abrogato con
la legge 442, emanata il 5 agosto 1981 a sedici anni di distanza dal rapimento
di Viola, e solamente nel 1996 lo stupro sarà legalmente riconosciuto in Italia
non più come un reato "contro la morale", bensì come un reato
"contro la persona".
Come la stessa Franca ricordò
anni dopo in una delle rare interviste concesse alla stampa, il futuro marito
le avrebbe dichiarato di non temere ritorsioni da parte dei Melodia,
dichiarando: "Meglio vivere dieci anni con te che tutta la vita con
un'altra". La coppia ebbe due figli: si trasferì a vivere a Monreale per i
primi tre anni di matrimonio, per poi tornare ad Alcamo. Giuseppe Saragat,
Presidente della Repubblica, inviò alla coppia un dono di nozze per manifestare
a Franca Viola la solidarietà e la simpatia sua e degli italiani. In quello
stesso anno i due sposi furono ricevuti dal papa Paolo VI in udienza privata.
Il regista Damiano Damiani, nel
1970, realizzò il film La moglie più bella, ispirato alla vicenda e
interpretato da un'esordiente e giovanissima Ornella Muti e il cantautore
Otello Profazio le dedica la canzone "La Regina senza Re".
La scrittrice Beatrice Monroy ha
raccontato nel 2012 la sua vicenda nel libro Niente ci fu (ed. La Meridiana)
[5] che venne però rinnegato dalla stessa Franca Viola.
Gli anni 2000
Franca Viola ha due figli e una
nipote e vive ad Alcamo. Il 22 ottobre 2011 ha lanciato un appello sul Giornale
di Sicilia per aiutare il figlio malato, costretto a continui trasferimenti
dall'ospedale Cervello al Policlinico per curarsi. Nella nuova intervista al
giornalista Riccardo Vescovo, la donna è tornata ad apparire in pubblico dopo
43 anni attraverso una foto comparsa sul giornale. A circa 24 ore dall'appello,
il figlio ha ottenuto il trasferimento definitivo, evitando i dolorosi
spostamenti quotidiani. L'8 marzo 2014, in occasione della festa della donna,
Franca Viola è stata insignita al Quirinale dell'onorificenza di Grande
Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano con la motivazione: "Per il coraggioso gesto
di rifiuto del matrimonio riparatore che ha segnato una tappa fondamentale
nella storia dell'emancipazione delle donne nel nostro Paese"
Lasciatevi trasportare dalla voce di Carlo Lucarelli del radiodramma di Radio DeeJay!
In questa puntata ci viene raccontata la storia di una donna forte che con un gesto di coraggio ha aiutato la crescita civile del mondo delle donne nell'Italia del dopoguerra.
venerdì 5 febbraio 2016
Femminicidio e la cultura che subordina le donne agli uomini
di Nadia Somma
I primi due giorni di febbraio sono stati scossi dall‘uccisione di Luana e Marinella e dall’aggressione feroce e brutale di Carla cosparsa
di alcol e data alle fiamme dal suo compagno. Atti di ordinaria violenza
maschile accaduti ad otto ore di distanza l’uno dall’altro.
Dall’inizio dell’anno c’erano già state altre violenze
contro le donne, ricordate ieri da Michela Murgia, che con la usuale cadenza di
una ogni tre giorni, sono entrate nella statistica annuale sul femminicidio.
Le storie di Carla, incinta all’ottavo mese di gravidanza, di sua figlia
Giulia Pia nata col taglio cesareo, hanno spezzato l’apatia a e hanno
squarciato quel velo di torpore e di indifferenza che rende accettabile,
collettivamente, l’ordinario esercizio di violenza maschile. Una violenza
che viene narrata e rimossa nello stesso tempo, quando diventa
elemento di consumo nella cronaca nera, nei programmi morbosi dove il
tema del femminicidio si consuma e si getta via con i peggiori stereotipi e le trite
banalità.
Raptus, delitto passionale, amore non corrisposto
accompagnano la giustificazione collettiva della violenza maschile che “capita”
a qualche donna che ha osato compiere una sfida. Camminando per
strada la notte, andando in discoteca, ubriacandosi, appagando la propria
sessualità, tradendo, scegliendo di separarsi da un marito che era
diventato insopportabile a causa delle violenze o semplicemente perché le
aveva stancate. Così le donne sfidano gli uomini e il destino
e “se la cercano“. Vivendo.
Nei prossimi mesi leggeremo ancora di uomini che
uccidono o feriscono, delle loro fughe vigliacche col
suicidio o su auto in corsa, lontano dai luoghi dei loro crimini. E
dopo i loro arresti, leggeremo ancora le meschine giustificazioni di stupri,
botte e uccisioni e le loro difese costruite sulla diffamazione della
vittima e ci toccherà ancora ascoltare commenti inadeguati alla gravità
delle azioni commesse.
Paolo Pietropaolo, quello che a 40 anni sulla sua pagina Fb, si
fregiava di essere un disadattato, dopo aver dato fuoco alla compagna incinta,
ha detto di aver fatto una cazzata come altri autori di femminicidio, che lo
hanno preceduto, hanno fatto in passato.
Se vogliamo fare collettivamente un lavoro
di coscienza dobbiamo smettere di aderire alla cultura che subordina le donne
agli uomini e trovare altre chiavi di lettura dei femminicidi. Dobbiamo
vedere con chiarezza il cattivo nutrimento dell’anima di uomini che
uccidono, feriscono, stuprano o umiliano, e saper analizzare e cambiare
il linguaggio che costruisce relazioni distorte con
le donne. Quali miti o narrazioni sull’invenzione della virilità dobbiamo
combattere? Quali i riferimenti culturali che rendono questi uomini
così desolatamente uguali uno all’altro: privi di ogni empatia e di
consapevolezza per il dolore arrecato alle loro compagne, rancorosi per
una frustrazione tanto profonda e impotente quanto assetata di una onnipotenza
che li spinge sempre a distruggere, convinti di avere il diritto a
una dedizione femminile eterna e incondizionata e capaci di dire dopo un
massacro per non averla ottenuta, di aver fatto (solo) una cazzata.
Violenza sulle donne: unirsi al coro per fare
la voce grossa
Non va bene, proprio non va. Come uomo comincio a
percepire il timore di essere guardato da una donna come minaccia: appartengo
al genere che la cultura vuole “dominante” e che sempre più spesso, là dove non
arriva con la cultura, imbocca la scorciatoia della violenza.
E anche questa è cultura, maledetta, ma tale.
L’Associazione Rising-Pari in Genere di
Roma, impegnata da anni in ogni forma di lotta alla violenza di genere, sono
donne, quelle donne che, come uomo, invidio per coraggio e talento e come uomo
sono onorato di unirmi al loro coro, nel dare spazio alla loro lettera…
di Fogliazza - IlFattoQuotidiano
Al Presidente del Consiglio dei
Ministri
Matteo Renzi
Alla Presidente della Camera dei Deputati
On. Laura Boldrini
Al Presidente del Senato
On. Pietro Grasso
Presidente,
nelle ultime ventiquattr’ore due donne sono state uccise, una terza è in
fin di vita. Luana, strangolata dal suo ex ; Marinella, sgozzata dal marito;
Carla, ricoverata in fin di vita dopo che il suo ex l’ha cosparsa di
alcool e le ha dato fuoco (e Carla era incinta all’ottavo mese). Tre storie di
ordinaria violenza famigliare; tre storie di femminicidio; tre storie della
stessa guerra, ferocissima, contro le donne, che ci riguarda tutte (e tutti).
Una guerra che genera solitudine, isolamento, senso di colpa. Le donne
si sentono in colpa per quanto subiscono; tendono a trovare un alibi, a
giustificare la violenza sino a sentirsi responsabili di quanto accaduto,
riducendosi al silenzio. E’ un fenomeno, quello della violenza contro le donne,
che continua a essere sottovalutato, non emergendo nella sua interezza: quanti
episodi, soprattutto quelli in ambiente famigliare, vengono vissuti come
normali?
Tre storie di femminicidio di cui conosciamo i responsabili penali:
mariti, ex mariti, partner rifiutati che non accettano l’autonomia femminile. E
quando la donna afferma la propria libertà e autodeterminazione, la cercano, la
minacciano, la picchiano, talvolta la uccidono.
Tuttavia c’è un’altra responsabilità, quella politica, e la mancanza di
una ministra alle pari opportunità ne è testimonianza. Per questo ci rivolgiamo
a lei, Presidente: è indispensabile istituire un riferimento preciso nel
governo, una figura competente che si occupi a tempo pieno del tema della
violenza contro le donne, che sia un riferimento preciso per le
Associazioni e i Centri Antiviolenza che quotidianamente denunciano e
contrastano questo fenomeno.
Confidiamo nel suo interesse e ci rendiamo disponibili a un confronto.
Cordialmente
Torino, distrutta una "panchina rossa", simbolo della lotta alla violenza contro le donne
La panchina rossa di piazza Bottesini distrutta dai vandali
Il sindaco Fassino : un gesto compiuto in anonimato vile che offende la comunità oltre che prima di tutto le donne
di CARLOTTA ROCCI
Le panchine rosse di Karim Cherif sono il simbolo della lotta alla violenza sulle donne. “Per questo questo non è solo un atto vandalico ma uno sfregio al messaggio che portano”, dice Nadia Conticelli, presidente della sesta circoscrizione dove i vandali hanno distrutto una delle circa 20 panchine che mesi fa sono stati posizionate nella zona nord di Torino. Commenta il sindaco Piero Fassino: "" Un gesto volento, compiuto in un anonimato vile e che offende la comunità, oltre che -prima di tutto -le donne, a cui l"iniziativa delle "panchine rosse" è dedicata. Lavoreremo perché i responsabili vengano individuati e puniti. Intorno alle "panchine" resta alta l'attenzione delle istituzioni e dei cittadini". I responsabili hanno preso di mira la panchina di piazza Bottesini, non lontano da piazza Foroni e proprio di fronte alla sede e al monumento degli alpini. “Un luogo di grande passaggio e dove tutto possono vedere quello che è stato fatto. Sono stati proprio i cittadini indignati ad avvisarci questa mattina”, spiega ancora Conticelli che domani presenterà denuncia contro i vandali che hanno spezzato in due la seduta di legno.
Panchine simili sono state sistemate in diversi quartieri, le ultime 21 sono state inaugurate il una decine di giorni fa. “Il progetto esiste da due anni e fino ad oggi non abbiamo mai
avuto problemi - prosegue Contincelli - Già domani i nostri uffici si metteranno al lavoro per sostituire la panchina danneggiata perché non dobbiamo arrenderci al degrado. Il fatto di essere un quartiere difficile non significa che a Barriera non si possano fare battaglie di civiltà". Nella zona non ci sono telecamere ma la piazza è sempre molto frequentata. Per questo i vandali hanno aspettato che facesse buio per entrare in azione.
Femminicidio, dieci donne che non possiamo dimenticare
di MICHELA MURGIA
È QUESTIONE di concentrazione: di certe cose non ci occupiamo fino a quando non si verificano tutte insieme in modo tale che diventa impossibile ignorarle. Così tre donne massacrate per mano dei loro compagni in appena due giorni hanno riacceso il faro dell'attenzione pubblica sul tema del femminicidio. Si chiamano Marinella, Carla e Luana, ma è facile appropriarsi di un nome per rendere le persone personaggi e dire che quelle storie erano le loro e non la nostra.
Ciascuna di queste donne va immaginata con il nome che diamo a noi stesse. A Catania il primo febbraio una è morta per mano del marito, che l'ha strangolata davanti al figlio di 4 anni. Lo stesso giorno a Pozzuoli una di loro, incinta al nono mese, è stata ridotta in fin di vita dal compagno che le ha dato fuoco. Ieri un'altra è morta quasi decapitata dal marito, poi fuggito contromano in autostrada. Fanno scalpore, eppure non sono le prime notizie dell'anno sulla violenza alle donne. Il 2016 era cominciato da appena due giorni quando i carabinieri hanno scoperto a Ragusa una donna segregata in casa dal suo convivente, che da due anni a suon di botte le impediva di andarsene. Lo stesso giorno ad Ancona una donna veniva picchiata da quello che era stato il suo fidanzato, prima che lo lasciasse per le violenze. Il 3 di gennaio una donna di Città di Castello è stata uccisa da suo figlio con dieci coltellate, e il 5 a Torino una'altra è quasi morta per le violenze inflittele dal marito, che l'ha più volte colpita in testa con un bicchiere prima che un vicino chiamasse la polizia. Il 9 gennaio a Firenze una donna è morta strangolata da un uomo che prima c'era andato a letto e poi l'ha uccisa per derubarla. Strangolata è morta anche la donna che il 12 di gennaio è stata trovata nel suo letto, ammazzata dall'uomo che frequentava. Il 15 e il 16 di gennaio due nonne sono stata uccise dai rispettivi nipoti: una è stata massacrata a Mestre con una sega elettrica, l'altra a Sassari con un vaso di cristallo. Il 27 gennaio a Cetraro una donna è stata uccisa per strada dal suo ex cognato, che le dava la colpa della fine del proprio matrimonio. Il 30 gennaio una donna è stata ferita gravemente dal marito, che prima di aggredire lei con un coltello aveva ucciso i loro figli di 8 e 13 anni.
In questo elenco non ci sono le decine di violenze, i maltrattamenti, le riduzioni della libertà e i tentati omicidi in ambito familiare le cui eco spesso non ci arrivano neppure. Sappiamo però che erano tutte a carico di donne che vivevano accanto a noi, in questa strana Italia ancora divisa tra voglia d'Europa e Family Day, ma incapace di riconoscere che c'è qualcosa di sbagliato e distruttivo nel modo in cui impostiamo i rapporti di relazione che chiamiamo "famiglia". Che sia tradizionale o arcobaleno, che lo stato la riconosca o meno, quel sistema di legami e la sua faccia oscura ci riguardano tutti e tutte,
allo stesso modo. Finché non affronteremo il nodo del potere nascosto in quello che chiamiamo amore, il Paese che ammazza le donne non sarà un buon posto per nessuno.
(Michela Murgia è scrittrice, il suo ultimo romanzo è Chirù, per Einaudi)
giovedì 8 ottobre 2015
STIPULATO IL PROTOCOLLO D'INTESA TRA IL
COMUNE DI SAN GIUSEPPE JATO E L'ASSOCIAZIONE FIDELIS ONLUS.
Un tassello importante si aggiunge alle attività progettuali del Centro
Antiviolenza A.D.I.D. - Aiuto donne in difficoltà nonché alla costituzione di
una rete di relazione e d'intervento territoriale per quanto concerne la lotta
contro la violenza di genere.
La costruzione di una rete Antiviolenza stabile e sinergica ha il fine di
coinvolgere tutti gli attori istituzionali del territorio (giudiziario, di
polizia, sociale, sanitario, educativo) attraverso forme innovative di
relazione e partecipazione, nella logica della multidisciplinarietà.
La violenza contro le donne è, infatti, un fenomeno complesso e diffuso e
non privato, che deve essere affrontato dall’intera comunità. Nessun soggetto,
individuale o collettivo, pubblico o privato, è sufficiente da solo a
rispondere a situazioni di maltrattamento e violenza.
La Rete Antiviolenza A.D.I.D. rappresenta
una modalità innovativa in quanto realizza il superamento
della settorialità degli interventi rendendo di conseguenza più efficaci,
immediate ed appropriate le risposte.
La rete va vista, pertanto, non come una
ulteriore struttura burocratica, ma come una nuova prassi, che va oltre la
semplice unione tra Servizi, ed è basata sul reciproco riconoscimento
attraverso:
·Individuazione
delle aree di standardizzazione e di miglioramento dei processi e delle procedure di integrazione e collaborazione al fine di:
1.Pervenire ad una visione
comune sulla violenza tra operatori di servizi diversi che operano sul medesimo
territorio o su territori che si confronteranno col progetto.
2.Contrastare la violenza
operativamente contrastare la violenza come modalità relazionale, producendo
una cultura della non violenza diffusa.
ØCoordinamento e
collaborazione tra istituzioni pubbliche e associazioni facilitando l’adozione di
specifici protocolli operativi in grado di integrare tra loro le prestazioni
dei diversi soggetti nel percorso di accoglienza e sostegno alle vittime,
superando le frammentazioni e i vuoti di intervento. Il confronto fra reti
territoriali favorirà la modellizzazione e trasferibilità degli interventi e la
sperimentazione di pratiche operative su territori differenti a più vasta
dimensione.
ØMonitorare e Valutare il sistema dei
servizi di prevenzione, protezione e presa in carico relativo al fenomeno della
violenza di genere attivo sui territori coinvolti. Saranno prese in esame le
attività continuative o occasionali di tutti i soggetti che hanno
responsabilità politiche, tecniche, operative sul fenomeno, nelle aree
territoriali individuate. In particolare, si intende porre le basi e sperimentare
un OSSERVATORIO UNICO in grado di analizzare l’efficacia e l’efficienza dei
servizi pubblici e privati del territorio, di dare maggiori elementi di
conoscenza dell’evoluzione qualitativa della violenza di genere, di fornire
ulteriori elementi per il miglioramento degli interventi.
A nome dell'Associazione Fidelis Onlus ringrazio il Sindaco del Comune di
San Giuseppe Jato, Dott. Davide Licari per la spiccata sensibilità mostrata verso la
tematica,la giunta e il consiglio comunale per aver intrapreso con noi questa
lotta che è innanzitutto difesa della dignità della donna e salvaguardia delle
pari opportunità.
Un ringraziamento per l'apporto e la collaborazione attiva va al Presidente del Consiglio del Comune di Borgetto. Dott.ssa Elisabetta Liparoto.
Presidente Associazione Fidelis Onlus
Tortorici Gaetano
lunedì 10 agosto 2015
9 Agosto 2015
INAUGURAZIONE CENTRO ANTIVIOLENZA A.D.I.D.
La giornata di ieri sembra segnare un vero e proprio spartiacque tra il passato e il presente. Grato per tutto il lavoro svolto in questi anni e consapevole dell'enormi sfide che ci attendono all'interno del nostro territorio, l'inaugurazione del Centro Antiviolenza A.D.I.D. - Aiuto donne in difficoltà rappresenta un punto di non ritorno per quanto concerne la lotta contro ogni forma di violenza n...ei confronti della donna.
La giornata di ieri consegna nelle nostre mani una responsabilità enorme che condivideremo con tutte le forze istituzionali del distretto socio sanitario 41.
Siamo un po' tutti chiamati, a vario titolo, a scardinare questo tessuto sociale e culturale che soffoca e umilia la nostra terra.
La presenza dell'Arma dei Carabinieri, rappresentata dal Maresciallo Carlo Cesari che ringrazio, determina, un'importante passo avanti in quel lavoro di rete che abbiamo innescato con le scuole ,comuni, associazioni.
Inoltre volevo ancora una volta sottolineare la mia grandissima stima nei confronti del Sindaco Gioacchino De Luca che si è sempre interfacciato con noi con grande impegno e costanza, operando e collaborando anche come semplice cittadino, al di la del suo ruolo.
Non posso dimenticare quanto presente sia stata la Dottssa Elisabetta Liparoto , Presidente del Consiglio del Comune di Borgetto, in questo lungo, intenso e determinante percorso. Se dovessi elencare tutto quello che abbiamo fatto insieme in questi mesi non basterebbe una giornata intera. Ringrazio gli assessori del Comune i Borgetto per la loro presenza, Alessandro Santoro e Angela Landa, il Presidente del Consiglio del Comune di Partinico, Dott. Filippo Aiello per averci onorato della Sua presenza.
A tutti coloro che hanno partecipato voglio rinnovare i miei ringraziamenti. Si ringraziano gli sponsor che hanno sponsorizzato l'evento.
ARTICOLI, FOTO E VIDEO
Foto a cura di Francesco Amato
venerdì 31 luglio 2015
INAUGURAZIONE
DOMENICA
09 Agosto 2015 Ore 11:00
Presso Ex Collocamento Via Giacomo Leopardi - 2 90042 - Borgetto